Il mondo del lavoro è in continua evoluzione e, oggi, cogliere e comprendere tutte le novità è difficile ed insidioso.
La pandemia Covid-19 ha rivoluzionato, a livello globale, non solo la nostra sfera privata, ma anche quella lavorativa ed ha innescato una serie di cambiamenti, che probabilmente ci accompagneranno ancora a lungo e che riguardano essenzialmente: la nascita di nuove professioni, una nuova concezione degli spazi fisici e un nuovo modo di intendere il concetto di produttività.
I lavoratori, oggi, sembrano ormai consapevoli riguardo la presenza di numerose aziende che dispongono di personale nella quasi totalità in smart work così come sono consapevoli degli ostacoli culturali, organizzativi e strutturali presenti in Italia (in particolare per le PMI operanti nel settore nella manifatturiera).
Le ampie trasformazioni in atto che stanno interessando numerosi settori promettono importanti conseguenze nel mondo del lavoro e, ovviamente, i nuovi occupati dovranno necessariamente stare al passo con i tempi, adeguandosi ai progressi portati dall’intelligenza artificiale e dall’automazione.
Si nota, in quest’ottica, una mutazione del “tradizionale” concetto di economia ed una crescente attenzione verso il concetto di produttività.
Questo tema è messo in discussione in quanto, la crescente capacità portata dall’automazione di svolgere quasi ogni tipo di mansione sta portando le aziende a chiedersi: come può l’uomo essere produttivo in confronto all’intelligenza artificiale che è più veloce e più efficiente?
Il capitale umano specializzato è considerato fattore cruciale della competitività.
In quanto titolare di un patrimonio di conoscenze/competenze, infatti, è capace di fare ricerca, produrre conoscenza, elaborarla e declinarla in diverse applicazioni attuali e future determinando innovazione e aumento di produttività in ogni sistema macro o micro economico.
Il concetto di produttività è già in fase di “revisione”.
Quando la conoscenza ha assunto un ruolo sempre più centrale nella produttività – originando così un processo d’innovazione attuabile attraverso soluzioni applicabili solo da un personale altamente preparato – si è iniziato a parlare in maniera nuova di economia.
L’industria e le fabbriche, così come le macchine, la forza lavoro ed il capitale materiale in generale, in questo contesto, non possono essere più considerati il volano di crescita economica o l’indicatore positivo di un’economia; oggi, sono le attività immateriali della conoscenza che non si limitano a racchiudere, semplicemente, la forza propulsiva della produttività, ma consentono anche di individuare e spiegare le differenze tra imprese, tra diverse aree geografiche e tra Stati.
Così, ha preso piede l’espressione knowledge-based economy, volta a mettere in luce la trasformazione del capitalismo industriale costruito sul concetto di capitale macchine/lavoro manuale in capitalismo cognitivo fondato sul concetto di capitale conoscenza/lavoro mentale nel quale, dunque, la risorsa produttiva primaria è rappresentata dalle capacità cognitive.
Al fine di valorizzare le abilità trasversali e di rendere il lavoratore idoneo a fronteggiare i cambiamenti, le aziende devono, inevitabilmente investire anche sul benessere dei lavoratori.
Come messo in evidenza dal rapporto “Health and Wellbeing at Work”, la sfida ad una maggiore, e migliore, produttività può essere vinta solamente se i dipendenti si sentono bene e sono motivati nel proprio lavoro.
L’esigenza crescente ad ottimizzare i processi produttivi per le aziende sempre più orientate verso un consumo zero ed un riutilizzo delle risorse, allo stesso tempo, sta portando le organizzazioni a guardare con interesse i professionisti specializzati in tali tematiche.
A cambiare, inoltre, sono anche i luoghi dove si svolge la nostra prestazione di lavoro, in Italia registriamo ancora un notevole disallineamento nel ripensamento degli spazi mentre nel resto del mondo sono già realtà.
I luoghi di lavoro si stanno trasformando in spazi per la collaborazione in cui nessuno ha una postazione prestabilita, i computer non sono più associati a singoli utenti e le sale riunioni sono solo virtuali.
La conseguenza è che anche le città, storicamente luoghi dove s’incontrano la domanda e l’offerta di lavoro, saranno coinvolte in questi mutamenti.
I repentini cambiamenti della società e dell’economia, le richieste di maggiore flessibilità da parte delle aziende e dei lavoratori, i cambiamenti dei diritti del lavoro e delle condizioni lavorative stanno portando a nuove forme di lavoro.
La richiesta di flessibilità e l’adattamento agli attuali scenari macroeconomici rappresentano i due fattori che hanno portato ad una diversificazione delle forme di lavoro abituali, basate su un rapporto diretto ed univoco tra datore e dipendente, rigido nel tempo e nell’organizzazione.
Eurofound, la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, ha analizzato come nell’Unione Europea e in Norvegia si stiano diffondendo nuove forme di occupazione, diverse da quelle che conosciamo comunemente.
Il frutto di queste indagini è contenuto nel documento “New forms of employment”, pubblicato a marzo 2015; lo studio si sofferma anche su alcune forme di lavoro già ampiamente utilizzate nel nostro Paese, come ad esempio il lavoro accessorio o intermittente, ma di seguito è data rilevanza alle tipologie ancora poco conosciute a livello nazionale e ai loro potenziali vantaggi.
Il termine “nuove forme di occupazione” designa l’insieme delle diverse forme di occupazione che, dal 2000 circa, stanno emergendo o stanno acquisendo progressiva importanza.
Oltre ai tradizionali rapporti di lavoro, le nuove forme di occupazione si contraddistinguono per i cambiamenti del modello di lavoro, del rapporto contrattuale, dei luoghi, della durata e dell’orario di lavoro, nonché per il maggiore ricorso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) o per una combinazione di questi fattori.
Vediamo in un altro articolo queste nuove forme di lavoro che si stanno inesorabilmente affermando a livello nazionale e internazionale.